Al ritmo di trap e al grido di thowra (rivoluzione), Alaa Salah ha guidato la protesta contro il feroce dittatore del Sudan, Omar Al Bashir. Sopra il tetto di un’auto, ha rotto il silenzio della disperazione.
Una giovane studentessa di ingegneria dell’International University of Khartoum, con un lungo tobe bianco, espressione della purezza femminile, è riuscita ad innalzare le voci del dissenso in un Paese martoriato dalla miseria e dalla violenza.
Ci sono terre dove gli uomini del potere approfittano della fragilità e della vulnerabilità del suo popolo, in particolare quella delle donne e dei bambini. Uomini che non accettano la libertà degli esseri umani. Che confondono l’amore con il possesso ed il bene con il potere.
Questi uomini, come Al Bashir, sono spesso sostenuti da altri uomini, quelli del civilissimo occidente che mentre continuano a depredare le materie prime dell’Africa rendendo le popolazioni sempre più povere, erigono nell’ipocrisia totale i muri e i fili spinati contro i migrati africani.
Il Sudan di Omar al – Bashir, ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimi di guerra, è stato caratterizzato da un lungo conflitto terminato nel 2011 con l’indipendenza del Sud Sudan. Un conflitto che provocò due milioni di morti nell’indifferenza totale del mondo occidentale. In questo paese, i diritti umani sono stati continuamente calpestati, con attacchi delle forze governative, che hanno represso la società civile e i media indipendenti. Tra gennaio e febbraio del 2016, i militari del Sudan hanno lanciato nuovi attacchi aerei e terrestri contro i villaggi del Darfur centrale. Le forze governative hanno ucciso civili, hanno violentato le donne e le ragazze e hanno distrutto centinaia di villaggi.
A settembre 2016, le Nazioni Unite hanno riferito che la violenza aveva costretto alla fuga almeno 190mila persone. Il conflitto in Darfur continua dal 2003. Amnesty International ha dichiarato che il governo ha usato armi chimiche contro i civili.
Le autorità governative hanno continuato a ostacolare la missione di pace dell’Unione africana e delle Nazioni Unite, minando la capacità di proteggere i civili, tra i quali è numerosa la presenza dei bambini soldato. Di fronte a questo drammatico quadro, i migranti provenienti dal Sudan non sono stati considerati, e non lo sono neanche oggi, Richiedenti Asilo. Eppure, fuggono da una guerra che fino a pochi giorni fa non meritava di essere considerata dal resto del mondo.
C’è voluta l’immagine di Alaa Salah che, con grande coraggio, ha smosso le coscienze di tutti ed è diventata l’icona della liberazione del Sudan. Un’immagine destinata a passare alla storia ma che forse, come del resto tutte le altre, verrà presto dimenticata.
La protesta del Sudan, insieme a quella del Gambia che ha disinnescato l’oppressione feroce del dittatore Yaya Jammey, rappresenta l’inizio di una nuova epoca che pian piano sta rompendo la fragilità di quelle anime che mai avevano osato ribellarsi ai propri dittatori.
I tempi cambiano e con essi anche la storia dei popoli e dei continenti. Non possiamo pensare che gli africani resteranno sempre vulnerabili. Quella fragilità dell’anima che abbiamo conosciuto in questi secoli, quella che ha reso oppressi i popoli, si sta sgretolando come i castelli di sabbia che l’acqua del mare porta via.
La storia, solitamente narrata dai conquistatori, è come una ruota che gira.
Guardiamo alla Cina: in tanti pensavano non sarebbe mai sopravvissuta al regime comunista e alla rapida crescita demografica. A un certo punto sarebbe crollato tutto. Oggi la Cina è la seconda potenza del mondo, mentre proprio le democrazie occidentali stanno traballando.
Accadrà lo stesso per l’Africa? E’ troppo presto per dirlo ma a sentire lo scrittore nigeriano Igoni Barrett, gli africani certo non scompariranno: “penso che a un certo momento, proprio come è successo con la Cina e l’India, alcuni Paesi africani avanzeranno di qualche posizione nella classifica mondiale. Perchè di certo gli africani non scompariranno. Se doveva succedere, sarebbe avvenuto durante la schiavitù o la colonizzazione. Ma abbiamo dimostrato di essere così resistenti da sopportare qualsiasi cosa.
Quindi è solo questione di tempo. Con politiche più sistematiche e un migliore accesso all’istruzione la bilancia tornerà a favore dell’Africa. In Europa la popolazione sta diminuendo e il Vecchio Continente non ha materie prime. Gli effetti dei cambiamenti climatici rischiano inoltre di farsi sentire più in Europa che in Africa. L’Africa, viceversa, è in crescita demografica. Ha la popolazione più giovane del mondo, risorse naturali di ogni tipo e si avvia a riequilibrare il suo peso globale”.
Gli africani di questo ne sono convinti. In un mondo dove i dittatori hanno sempre fatto del loro popolo una vittima, la paura si sta trasformando in opportunità per un cambiamento.
Quella giovane donna, dall’anima fragile e buona, non è un’icona del femminismo africano ma della lotta comune per l’affermazione dei diritti universali. Alaa ha camminato nel buio per raggiungere la strada della libertà. L’adrenalina, che entra ferocemente in circolo, ha contagiato migliaia di uomini e donne che si sono stretti attorno a lei e hanno smesso di avere paura.
Come una madre che abbraccia i suoi figli e li protegge dai pericoli. Perché in fondo l’Africa è donna. Una donna che accende la luce intensa della speranza.