Era il 15 Luglio 1938 quando sul “Giornale d’Italia” veniva pubblicato il “Manifesto degli scienziati razzisti” che avrebbe dato avvio alle leggi razziali.
Leggi promulgate dall’Italia fascista dal 1938 al 1943 per affermare un “razzismo di Stato“, prima tramite interventi discriminatori a livello sociale ed economico, poi con la violenza vera e propria.
Il manifesto affermava: “È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza […] vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l’italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità”.
E ancora “È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d’Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall’altra”.
Cinque anni di storia ufficiale (1938-1943) che dalla definizione di razze si spinsero alla discriminazione ed espulsione di cittadini ebrei dalla vita sociale, dal mondo lavorativo e scolastico, agli arresti e all’internamento nei campi di concentramento, alla negazione e privazione della loro identità.
A ottant’anni da queste leggi il governo giallo-verde introduce strategie e interventi normativi che dovrebbero farci tremare.
Sotto lo slogan “Prima gli italiani” e “Stop invasione“, si è consacrata ieri la giornata del “Manifesto leghista”. Nel giorno dell’Immacolata, a Piazza del Popolo a Roma, si è ritrovato il popolo leghista dei “puri” del Nord e dei “terroni” del Sud, perché “L’Italia rialza(i) la testa!” (?)
Perché, come ha sottolineato il leader del neo-Carroccio, “Marciando uniti non dobbiamo avere paura di nessuno”.
Ma questo è solo un momento di sintesi di sei mesi di governo!
Sei mesi in cui hanno chiuso i porti ai migranti, sospendendo le vite di bambini, donne e uomini disperati in mezzo al mare, hanno destato e alimentato odio, rabbia e ostilità ne confronti degli africani poveri che arrivano nel nostro Paese o già vi risiedono da tempo.
“Tanto pagano gli italiani”, “È finita la pacchia”, “Gli immigrati hanno mangiato abbondantemente alle spalle degli altri per troppo tempo”.
Sono solo alcune delle frasi che, dietro mascherati propositi di equità, tradiscono lo sfondo razzista e discriminatorio di questo governo.
È in nome del principio di equità, infatti, che in alcune scuole si è dato avvio a quella «una nuova apartheid» che «vieta a 200 bambini, perché stranieri, di mangiare alla mensa scolastica e di usare lo scuolabus», come denunciato dal sindaco di Firenze, Dario Nardella.
È in nome del principio di equità e sostenibilità che il Decreto sicurezza, che ha incassato la fiducia alla Camera con 336 sì e 249 no, ed è quindi legge, metterà per strada in pochi mesi almeno diciannovemila disperati, secondo uno studio della Corte dei Conti pubblicato a marzo 2018. Migliaia di persone destinate a diventare invisibili.
È in nome degli stessi principi, quindi, che avremo migliaia di senzatetto, in condizioni di disagio, tra i quali la criminalità potrà attingere per rimpinguare le sue fila, incrementando la devianza e la delinquenza e disseminando insicurezza.
È sempre in nome di “qualche principio” che, come afferma la Presidente di D.i.R.e., Lella Palladino «Da qualche giorno chi arriva nel nostro paese come richiedente asilo non ha più il diritto e la possibilità di avere un indirizzo di residenza, nemmeno presso le strutture di accoglienza.
Decine di migliaia di persone, uomini, donne, spesso con i loro bambini/e, a cui viene riconosciuto un solo diritto: quello di chiedere asilo. Ma che dovrebbero essere invisibili e disincarnati, così da non “pesare” in alcun modo sul sistema Italia. Questa misura inclusa nel decreto sicurezza è gravissima nei confronti di tutti, in particolare delle donne richiedenti asilo, spesso vittime di tratta, che nei centri antiviolenza hanno finora trovato un sostegno concreto per dare una svolta alla propria vita».
Un “manifesto leghista”, quindi, che alle politiche razziste affianca anche quelle discriminatorie nei confronti delle donne, dal Ddl Pillon, all’attacco alla legge sull’interruzione di gravidanza e sul diritto al divorzio, alla violenza domestica.
Un vento noto torna a spirare dalle nostre parti, cercando, di riprodurre nel “manifesto leghista” un’ideologia fascista, riducendo le capacità di critica di un popolo smemorato, cieco, ignorante.
Un vento che vorrebbe soffiare via anche tutte quelle vittorie dell’emancipazione femminile, per ricondurre le donne a “regine del focolare”, in una visione gerarchica del rapporto fra i sessi, dovuta al culto della virilità, proprio della mentalità fascista.
Un patriarcato, quello della dittatura mussoliniana che, come sottolineato da Victoria de Grazia ne “Il Patriarcato fascista: come Mussolini governò le donne italiane (1922-1940)”, (tratto da “La Storia delle Donne” di Georges Duby e Michelle Perrot – Laterza Edizioni), “costituì un episodio particolare e distinto del dominio patriarcale. Il patriarcato fascista teneva per fermo che uomini e donne fossero per natura diversi.
Esso politicizzò pertanto tale differenza a vantaggio dei maschi e la sviluppò in un sistema particolarmente repressivo, completo e nuovo, inteso a definire i diritti delle donne come cittadine e a controllarne la sessualità, il lavoro salariato e la partecipazione sociale. Alla fine, questo sistema si rivelò parte integrante delle strategie dittatoriali di rafforzamento quanto la regolamentazione corporativa del lavoro, le politiche economiche di tipo autarchico e il bellicismo”. E, aggiunge, “Le concezioni antifemministe furono parte del credo fascista al pari del suo violento antiliberalismo, razzismo e militarismo”.
Ed oggi, a sei mesi di governo, di pensieri e azioni contro le donne, razzisti e discriminatori ne abbiamo le tasche piene!