E siamo immersi nelle notizie quotidiane, quelle che si lanciano sui social, si divorano nei post e si consumano in una settimana, al più. La cronaca tiranneggia nel mare della comunicazione senza rivali.
Come se non ci fosse più spazio per l’articolo di fondo, la riflessione pacata su un tema che chiama alla pianificazione non alla reazione immediata.
In questo modo passano veloci notizie che toccano, invece, la vita degli uomini ed il loro futuro. Veloci e neutre, senza commenti e senza clamore.
Una notizia di questa settimana che, appunto, è passata come diluita nel crogiolo della cronaca tiranna, è quella del Rapporto speciale della IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) sull’impatto del riscaldamento globale di 1,5 °C sopra la temperatura del periodo di pre-industrializzazione (1850-1900).
Il report era stato commissionato dalla UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nel 2016. Si è trattato di una sorta di ripensamento cautelativo dopo la firma nel 2015 dell’accordo di Parigi che stabiliva un aumento della temperatura globale contenuto “ben al di sotto dei 2 °C”.
Bene, di accordi famosi ce n’è uno solo: quello di Kyoto (1997). Ma quello di Parigi aveva registrato la firma di tutti i Paesi, compresi i grandi inquinatori come gli Stati Uniti e la Cina. Subito dopo Parigi, dove si era stabilito il massimo di 2 °C, la Convenzione dell’ONU sui cambiamenti climatici ha chiesto di elaborare un rapporto speciale per capire gli effetti sul Pianeta dell’aumento di 1,5 °C. E questo rapporto è stato divulgato proprio in questa settimana.
Cosa c’è di importante nel Rapporto speciale? Ci interessa davvero? A chi è rivolto? C’è qualcuno al Governo del nostro Paese che lo stia studiando?
Non sono una appassionata ideologa di ambiente e clima, lo confesso. Tuttavia, scorrere i grafici del Rapporto, leggere le conclusioni chiave, osservare le stime di crescita della temperatura globale del Pianeta, mi hanno toccato. Perché tutto si incrocia con l’esperienza di questi anni, con la memoria recente di un’estate tropicale con la più intensa attività ceraunica (fulmini e tuoni) d’Europa registrata in Italia. Con la spasmodica ricerca di un campo innevato per godere d’inverno dei benefici di una qualsiasi attività sportiva sulla neve. Eh già! E’ tutto collegato, drammaticamente collegato.
Molto sinteticamente, il rapporto dice che senza una drastica riduzione delle emissioni in atmosfera dal 2020 fino all’azzeramento nel 2055 la probabilità che si superi il limite di 1,5 °C è molto alta, tendendo verso la soglia dei 2 °C.
Gli effetti stimati su tante componenti, naturali e sociali (dalle barriere coralline fino al turismo passando per la resa dei raccolti e la vulnerabilità della salute) sono devastanti.
Ci interessa?
Certo che ci interessa, ma non è interessante.
Non ci distoglie davvero dalla cronaca tiranna.
Il valore della conoscenza di certe previsioni attente e curate sta nell’attesa di una politica capace di rispondere sul medio e lungo periodo con strategie di crescita sostenibile. Una sostenibilità che sia fattuale, non uno slogan.
Una attesa che nel panorama del Cambiamento può diventare una sana pretesa. La richiesta del coraggio di scelte di impatto anche sull’equilibrio naturale del sistema globale oltre che sulla crescita economica.
Bisogna studiare, fare emergere le competenze del Paese libere e concrete. Dare spazio alla forza dell’evidenza e alla potenza delle idee.
Perché i tiranni si affrontano e si sconfiggono sul loro campo.
Senza paura.