Giovedì 13 dicembre ho avuto il piacere di presentare a Bergamo il Libro “Più Cuori e una Capanna. Il Poliamore come istituzione”, edito da Giappichelli a maggio di quest’anno, per la curatela di Luca Pes ed Elisabetta Grande.
In una cornice molto suggestiva, l’ex carcere di Sant’Agata, incuneato nel cuore di Città Alta, una docente di diritto costituzionale, Anna Lorenzetti, un Filosofo del Diritto, Nicola Riva, un giurista antropologo, Luca Pes, ed un ricercatore di diritto privato, Antonio Vercellone, hanno intrattenuto per circa tre ore un nutrito ed attento pubblico di avvocati sul tema del poliamore.
L’affluenza è stata ben superiore del previsto.
Come organizzatrice unitamente alla professoressa Lorenzetti non mi aspettavo certo la sala gremita, posto che il tema non è tra i più dibattuti pubblicamente e che, a tener banco nel mondo socio giuridico, sono spesso le ben più conosciute argomentazioni a difesa dei diritti LGBTQI.
Invece sono stata piacevolmente smentita da oltre un’ottantina di partecipanti.
Tutto sommato anche la storia personale di un qualsiasi quarantenne che ha scontato la sua giovinezza negli anni ‘90, lascia supporre del poliamore un significato fedifrago ed extraconiugale, che non aiuta certo la conoscenza di questo fenomeno e dunque il suo appeal sul grande pubblico.
Se ripenso alla mia gioventù in quegli anni, i modelli sociali dominanti prevedevano che solo i giovani si potessero permettere senza scandalo, un breve, circoscritto e biograficamente tollerato nomadismo affettivo/sessuale.
Erano i gloriosi tempi della adolescenza.
Allora si intessevano relazioni principalmente eterosessuali e monogame, di durata breve e generalmente cronologicamente progressive e che, ancorché potessero essere non definitive, costituivano una sorta di praticantato per la relazione amorosa, definitiva; o giù di lì.
La principale aspirazione progettuale che veniva proposta come conforme agli standard sociali, era solo la relazione coniugale.
Dopo quindi una manciata di anni di bottinare amoroso, si veniva instradati sulla via della coppia che, nel matrimonio, “metteva su” famiglia.
Questo “rito di iniziazione alle relazioni” non rimaneva però silente a lungo.
Esso trovava, in una sorta di nemesi al rapporto esclusivo e duraturo instaurato tra moglie marito e figli, uno sbocco in una vera e propria pratica poliamorosa, ma non quella descritta nel libro, bensì in quel noto comportamento fedifrago, nascosto che fa, o ha fatto, la fortuna di molti avvocati; anch’essi, come tutti quanti peraltro, non certo immuni da un festaiolo girandolare affettivo o sessuale…
Detta pratica veniva, spesso tollerata (ed anche oggi accade comunemente) purché però non fosse “niente di serio”, “solo un’esperienza sessuale”, giusto una “vacanza dal matrimonio”.
Il modello diadico di coppia, soprattutto a livello sociale, doveva essere salvaguardato.
Questo almeno sino a quando oltreoceano, in Calfornia per l’esattezza, Morning Glory Zell‑Ravenheart, nell’articolo “A Bouquet of Lovers” pubblicato nel 1990 su Green Egg Magazine, (una rivista “neopagana” edita sin dal 1968 e disponibile oggi nella sue versione digitale) definì il concetto di “relazione poliamorosa” come un rapporto con almeno tre partecipanti con il consenso e l’adesione di tutti i partner.
Confesso che una simile definizione, per chi ha sempre vissuto nell’idea della coppia, al più minacciata (o salvata) dal tradimento, può destare qualche perplessità.
Ma il poliamore, a discapito di quanto si possa pensare, è una modalità comportamentale che si fonda primariamente sull’onestà e sulla volontarietà.
Non necessariamente, questa pratica, incentra la relazione sul sesso e può, ad esempio, anche prevedere (nella c.d. sua struttura a V) la relazione tra tre partner (ipotizziamo una donna e due uomini) senza che, tra i due maschi, ci sia altro che stima o rispetto reciproco.
E’ possibile che ci sia coabitazione ma non è necessario; occorre sempre, invece, ed in via imprescindibile, che nella pratica poliamorosa, per definirsi tale, ci sia conoscenza e accettazione della pratica da parte di tutti e tre (ma possono essere anche di più).
La coppia in questo caso non scoppia, perché semplicemente non esiste come nucleo esclusivo (il poliamore non è coppia aperta o mera attività non monogamica): con questo modello relazionale, si parla più propriamente di “troppia”.
Ecco quindi che, lasciandovi alla lettura del libro per un’analisi più dettagliata anche delle modalità con cui può essere vissuta questa modalità relazionale, si offre alla possibilità sociale un vocabolario nuovo e soprattutto, un potenziale nuovo modello di rapporto tra individui.
In fondo alla contestualità di più relazioni questo paese è ben abituato: ce lo dicono le percentuali delle separazioni e dei divorzi per tradimento del partner ed altresì, nella sua variante più becera quella barbara pratica del turismo sessuale nei paesi in via di sviluppo.
Il poliamore, però, si badi, non c’entra affatto con tutto questo.
Il poliamore non ha nulla a che fare con il nascosto o il sottaciuto tra chi ne è coinvolto.
Il poliamore è un modello relazionale visibile che propone un vocabolario nuovo, parole nuove e dunque anche un pensiero nuovo che inevitabilmente si riflette, sugli effetti che queste relazioni provocano.
E qui, la questione si fa ancora più interessante tanto dal punto di vista culturale, quanto dal punto di vista giuridico.
Da un lato si tratta infatti di uscire dalla gabbia, culturalmente e concettualmente ancora molto forte dell’unico “vero e grande amore”, di natura romantica. Un amore che rende tutte le altre relazioni del tutto residuali, marginali o temporanee.
Detto per inciso, questa concettualizzazione assolutizzante è uno dei peggiori derivati dell’800.
Tolstoy e Flaubert hanno fatto in questo senso più danni della spagnola 1918….
Dall’altro lato di tratta di considerare altresì che la monogamia in termini antroposociali è un’esperienza breve nella storia dell’umanità.
Il poliamore inteso come il costume di interazione con più partner è certo nella storia dell’uomo una realtà molto più lunga dal punto di vista esperienziale, e più compatibile alle esigenze di protezione delle tribù prima e della comunità poi.
Quali sono dunque le sfide che la comunità poliamorosa, oggi presente in Italia in maniera visibile almeno dal 2008 (maggiori informazioni le trovate qui al link http://poliamore.net/), pone ai modelli tradizionali?
Sicuramente il poliamore risignifica il concetto di fedeltà, di intimità, di tradimento, di cura e di accudimento.
La relazione non monogamica esce dal modello, fortemente proprietario della relazione di sola coppia che, guardata allo scanner dei numeri, tra separazioni e divorzi, pare davvero in crisi ed un istituto oramai poco rispondente alle nuove esigenze di coppia (basti pensare all’ormai datata e quasi residuale applicazione della comunione dei beni).
Anche il diritto, con la crescita di queste comunità e con la possibilità dei millenials di usufruire di nuovi vocabolari della relazione, a lungo termine non potrà rimanere indifferente.
Se infatti nessuno può dire ad un altro perché la propria relazione monogamica e romantica (che ci si augura felice ed eterna), sia migliore o preferibile rispetto alla sua, volutamente poliamorosa, che cosa potrebbe accadere in un rapporto stabile e duraturo nel tempo?
E’ del tutto legittimo attendersi che i poliamorosi vorranno regolare questioni ereditarie, di filiazione, di cura e di accudimento anche (ma non solo) patrimoniale di coloro che amano.
Il libro “Più Cuori e una Capanna. Il Poliamore come istituzione”, in tal senso, ipotizza fondate argomentazioni che, nel nostro ordinamento, permettono sotto l’egida del diritto attualmente vigente, una seppur primaria, tutela dei vari partner poliamorosi.
Questo libro è innanzitutto un testo giuridico e da giuristi, sociologi e avvocati va letto, e per più di un motivo.
Il diritto presta molta attenzione alle gioie del nostro talamo ed agli obiettivi di vita privata di ciascuno di noi.
La battaglia per il riconoscimento del matrimonio incardinata dai movimenti omosessuali, in tal senso, è illuminante.
I rapporti affettivi, all’interno di un’organizzazione sociale, possono essere dirimenti e destabilizzanti.
Tenace è stato lo scontro dei conservatori per screditare le istanze di uguaglianza del rapporto affettivo tra omosessuali ed eterosessuali; la fedeltà ed il rapporto genitoriale sono stati due grandi temi caduti sul campo.
Con la Legge Cirinnà sono nate quindi tre nuove legittime modalità di relazione sociale (unioni civili, convivenze tra omosessuali e convivenze tra eterosessuali) che pongono però sfide soprattutto alla famiglia ed al suo modello di coppia eterosessuale, e questo è un tema che non può dirsi definito una volta per tutte (si pensi alla stepchild adoption).
Ogni relazione affettiva ha effetti nel diritto e ogni movimento sociale che propone istanze nuove va guardato con grande interesse.
Questo libro si chiede quali sfide il poliamore proponga ai modelli culturali in primis e giuridici subito poi.
Alcuni paesi al mondo hanno già riconosciuto la legittimità della pratica poliamorosa.
In Italia, il nostro ordinamento, neanche immaginandosi la pratica, qualche soluzione per i non monogami la offre già.
Leggetelo, ne varrà sicuramente la pena.