Boh Tav. Così Vauro, noto vignettista italiano, ha descritto l’atteggiamento del Ministro Toninelli in merito alla realizzazione, o meglio, al completamento, della grande opera, parte del corridoio europeo che consentirebbe a merci e persone di viaggiare dall’estremo est del vecchio continente sino all’atlantico, superando la centralità germanica quale snodo commerciale indispensabile per smistare i beni europei nelle varie direzioni di mercato.
Un “boh Tav” che ha dato molto fastidio, perché mette in discussione uno dei dogmi che stanno segnando questa fase politica della Seconda Repubblica e ½: il NO alle grandi opere, viste come l’occasione di perpetrare ladrocini e distruzioni ambientali.
Occorre dunque chiedersi se la TAV sia un’opera da concludere o meno, cercando di analizzare serenamente la situazione, senza preconcetti, ma osservando dei precetti, per quanto possibile.
Partiamo da fatti scevri da opinioni: stiamo parlando di un cantiere già aperto, in stato avanzato, in cui sono stati investiti miliardi di euro. Ancora, risalendo nei presupposti che hanno portato all’attuale situazione, non possiamo evitare di riconoscere che l’opera sia stata discussa, valutata, infine approvata, nei più svariati ambiti, nazionali e locali.
Dunque, se parliamo di Tav, dobbiamo ammettere che si tratta di qualcosa che è già passata al vaglio delle strutture democratiche, poste alla base dell’operatività italica.
Usciamo dunque, almeno per un attimo, dalla legittima contrapposizione tra persone e pensiamo nuovamente a Toninelli. Il Ministro della Repubblica italiana si trova di fronte ad un’opera approvata, progettata, finanziata, in stato di avanzata attuazione e cosa pensa di fare?
Semplice, sceglie di “riflettere meglio”.
Riflettere meglio, come il marito che giuri eterna fedeltà alla moglie dinanzi a Dio, si impegni a contrarre un vincolo “per sempre”, ma divorzi, perché si è innamorato di un’altra. In fondo mica vorremo impedire alla storia di fare il suo corso, e sappiamo benissimo che l’amore è eterno, finché dura.
Peccato che in democrazia non possa e non debba funzionare così.
Quando si è chiamati a ricoprire un incarico di responsabilità all’interno di una struttura che è l’apice di processi di popolo, occorre rispettare i meccanismi che rendono rappresentative le decisioni assunte dal popolo.
Ciò significa che ogni disfacimento di quanto fatto e deciso, in ragione dell’atavico “ho cambiato idea”, è una picconata all’essenza stessa delle istituzioni democratiche.
E’ ben strano che un Ministro che è espressione di una forza politica che fa del richiamo al rispetto integrale degli impegni assunti una delle proprie cifre essenziali, dimentichi o tralasci questo aspetto, per parlare di un ripensamento a cose fatte.
Cosa accadrebbe se questa stessa logica fosse adottata dai parlamentari del partito di riferimento del Ministro Toninelli? Che succederebbe se quello che è stato deciso e ratificato venisse sospeso, adducendo la volontà di ripensare al rapporto tra “costi e benefici” dell’impegno sottoscritto?
Si pensi ancora al cosiddetto contratto di governo, che guida l’azione dell’attuale governo italiano.
In questi giorni, adottando la stessa logica di Toninelli, il vicepremier Salvini dice che si tratta di un impegno mutabile.
Dunque? E’ tutto scritto, sottoscritto, accettato e firmato, ma si badi che può essere tutto smentito, violato, tradito, in ragione di una diversa valutazione?
Bene, così sia, ma allora capiamoci bene, perché se scriviamo Tav sulla sabbia, e se usiamo la sabbia come base per qualsiasi impegno, non muore solo un’opera pubblica, ma muore un altro pezzo di questa nostra malandata Repubblica.