Storie di piccoli eroi che fanno “sovrana” l’Italia nel mondo
Ha fatto il giro del web, e non solo, la storia degli operai della Melegatti che hanno salvato il lievito madre, rimbalzando dai social ai giornali on-line, fino a planare sulle tavole degli Italiani dove, spesso, tra una pietanza e un’altra siamo soliti sentenziare su vari aspetti del nostro paese, dalla politica gattopardesca all’economia sempre in crisi, senza lesinare mai però una certa emulazione verso quei nomi “non eccellenti” che fanno parlare dell’Italia nel mondo e non per appalti truccati, abusi di vario genere o tragedie feroci e devastanti che si potevano evitare ma semplicemente per storie di ordinario eroismo.
Perché di questo si tratta, le persone per bene, e in Italia ce ne sono tante, sono i veri “eroi” del nostro tempo. Sono eroi semplici, ordinari, quotidiani, anonimi ma soprattutto responsabili che, mentre la casa brucia, si adoperano per mettere in salvo i gioielli di famiglia.
Il lievito madre della Melegatti, salvato dai capireparto del laboratorio di impasto che, per quasi un anno, dandosi il turno, si sono recati gratuitamente al lavoro nello stabilimento chiuso dai sigilli, per tenere in vita quella materia vivente… quel lievito di “storie” vecchio di 124 anni, è una grande storia d’amore, di valore e di responsabilità, sviluppatasi – come il sottobosco – all’ombra di una complessa vicenda normativa e finanziaria, conclusasi solo un mese fa con il salvataggio di una grande azienda e di una grande storia, da parte della famiglia Spezzapria.
Roberto e Giacomo Spezzapria, padre e figlio, sono industriali vicentini che dall’industria aerospaziale sono ora approdati alla fabbrica del gusto, con una forte consapevolezza del passato e una chiara visione del futuro e delle potenzialità ancora del tutto inesplorate di questa grande storia italiana.
Dunque, onore agli imprenditori che, malgrado il grottesco teatrino della politica di casa nostra che continua a registrare bocciature su più fronti, hanno salvato il marchio italiano fondato da Domenico Melegatti nel 1894, permettendo così a 35 dipendenti di tornare a lavorare nello storico stabilimento di San Giovanni Lupatoto, vicino Verona.
E onore soprattutto agli operai, Davide Stupazzoni e Matteo Peraro, che alla Melegatti sono ormai stati ribattezzati “angeli del lievito madre” e che, animati soltanto da una straordinaria consapevolezza del valore di quell’antico impasto e da un commovente senso di responsabilità, si sono presi cura e hanno portato in salvo un “patrimonio di saperi, di equilibri e di esperienze” che non appartiene solo all’azienda ma all’Italia intera e alla nostra storia.
È soprattutto grazie a loro se il pandoro tornerà sulle tavole degli italiani e di tutto il mondo col suo gusto di sempre e nella sua perfetta forma stellata, brevettata dal suo inventore a fine ‘800.
Della stessa portata e della stessa fibra è la storia di una grande pasta italiana, la storia dell’Antico Pastificio Rosetano, iniziata con Luigi Verrigni nel 1898 quando, nel piccolo centro di Rosburgo, l’odierna Roseto degli Abruzzi, in provincia di Teramo, cominciò a produrre le sue pregiate paste artigianali per le nobili famiglie del luogo.
Luigi Verrigni utilizzava soltanto farine pregiate, ottenute dalla macinatura di grani lavorati su macine di pietra, impastati con l’acqua limpida e pura proveniente dalle sorgenti del gran Sasso ed essiccati al sole sulle canne di bambù.
Oggi l’azienda, guidata con la stessa cura e la stessa passione delle origini da un nipote, Gaetano Verrigni e dalla moglie, Francesca Petrei Castelli, è una storia di eccellenza che non ti aspetti e che ci fa sentire fieri di essere italiani e grati per essere nel mondo un modello di qualità, di creatività e di innovazione. Qualità dei luoghi e delle materie prime che continuano ad essere selezionate con cura certosina e qualità dei processi di lavorazione e innovazione, realizzati con competenza scientifica e creatività artistica. Competenza e creatività che hanno orientato e determinato la scelta dei formati e delle strumentazioni per la trafilatura.
Grazie all’arte del maestro orafo Alessandro Seccia di Pescara, infatti, la pasta Verrigni è l’unica al mondo ad essere trafilata in oro, con una porosità che la rende più accogliente delle altre e pronta a dialogare con ogni tipo di condimento. Il risultato? Una croccantezza sconosciuta e un privilegio per il palato “che intender non lo può chi non lo prova” direbbe Dante.
Una pasta ricca per raccontare un paese ricco, il nostro, ricco di storia, arte, cultura, paesaggi e soprattutto ricco di bellezza e straordinaria umanità.
Un po’ più in giù, ai margini della periferia di un’Italia che ancora fatica ad unificarsi, c’è la storia in formato new economy di Alberto Paglialunga, leccese, che con il suo negozio on line di arredo bagno, giardino e interni ha vinto il premio “Negozio Web Italia” 2018/2019, nel settore mobili & arredi, scalzando come Davide contro Golia, il colosso svedese di Ikea.
Quella di Alberto è una storia incredibile e commovente e raccontarla fa bene al cuore, alimenta la fiducia e nutre l’autostima di tanti giovani, portatori sani di intuizioni e di idee differenti, la cui portata e lungimiranza non subito viene colta dal contesto. Oggi “Deghishop” è un magazzino di oltre 14 mila metri quadrati, 63 dipendenti e 30 milioni di fatturato all’anno ma all’origine, 12 anni fa, era solo un garage, quello di casa di Alberto dove lui, pigiama e pantofole per stare più comodo, lavorava ad un pc acquistato con i soldi presi in prestito dalla madre.
Quella di Deghi non è tanto una storia di qualità del prodotto, che pure non manca, ma soprattutto di qualità del mercato e di qualità e cura delle relazioni che, con il suo mercato, Deghi ha voluto costruire, anteponendo sempre le esigenze del cliente a quelle del magazzino. Quella di Deghi è una storia di passione, impegno e coralità dove la forza e l’entusiasmo del gruppo sono riuscite a costruire reti invisibili e apparentemente impossibili in un territorio in cui, in alcune zone, non arriva neanche l’adsl.
La vera sfida non è stata semplicemente quella di vendere un buon prodotto ma di venderlo meglio degli altri, riuscendo a costruire nella omologazione della realtà digitale, dove si risponde presente con un click, e nella neutralità del mercato on- line, un rapporto autentico con ogni cliente, anzi con ogni persona! È una storia di “customer care” all’italiana, perché anche quando l’Italia fattura con tanti zeri conserva sempre un cuore artigiano.
Ma perché raccontare queste storie simbolo di un’Italia straordinaria ed eccellente? Per fare pubblicità a queste persone? No, di certo non ne hanno bisogno. Le ho raccontate per dire semplicemente che è all’ombra del sottobosco che si genera la vita nuova e nel silenzio cresce, giorno dopo giorno, sotto la trama e l’ordito frondosi di un labirinto oscuro di cui abbiamo smarrito l’uscita.
Le ho raccontate per promuovere la speranza e per scuotere dal torpore tutti quei sognatori seriali il cui esilio da sé stessi li ha fatti veramente addormentare. Per realizzare i propri sogni, anche se “in pigiama” o con uno stabilimento chiuso dai sigilli, bisogna essere svegli e con i piedi ben piantati nella realtà.
È cosi che nel sottobosco di una foresta oscura fatta di lungaggini amministrative, disoccupazione cronica, instabilità politica, calamità naturali e vergogne nazionali, sovranismi di bassa lega e populismi rabbiosi e di facciata… c’è un popolo, un meraviglioso “popolo di formiche” direbbe Tommaso Fiore, un popolo silenzioso e invisibile, un popolo di persone per bene che notte e giorno, pioggia o sole, lavora per portare nutrimento. C’è un’Italia interiore che conosce il valore della propria bellezza e la forza della propria unicità. C’è un’Italia consapevole della propria ricchezza e della propria storia che sa “distinguersi nella relazione”, senza isolare e senza isolarsi. C’è un Italia che sa condividere senza mai confondersi.
È questa l’unica “sovranità” che ci piace immaginare e proporre contro la “rabbiosità” e la paura nascoste dietro ad ogni “ismo” che divide e che contiene solo parti distruttive.
Essere sovrani non significa costruire muri o sbarrare le frontiere ma assumersi, con umiltà e nel rispetto della relazione, il valore della propria identità, della propria creatività e della propria differenza.
Uno Stato è davvero “sovrano” non quando si erge al di sopra degli altri per vedersi meglio ma quando con il suo bagaglio di Storia sa incontrare il mondo e quando in quel suo bagaglio lascia sempre un posto libero per accogliere una parte del mondo che verrà. C’è un’Italia Sovrana che sa assumersi tutto questo. C’è un’Italia Sovrana pronta ad incontrare l’umanità.