L’impegno politico nel prevenire e contrastare la violenza maschile contro le donne rende avvezze allo smascheramento delle ipocrite coperture che da sempre le interpretazioni patriarcali propongono per parlare di stupri, femminicidi, abusi sessuali e far passare interventi emergenziali e securitari in risposta ad un fenomeno strutturale.
Spostare l’attenzione sul migrante, sul deviante, sul marginale consente di non guardare alla normalità di una pratica di dominio e subordinazione che attraversa la quotidianità delle relazioni tra generi ed è radicata nella cultura quanto nella struttura sociale fondata sullo sfruttamento del tempo, delle vite e dei corpi delle donne.
Per questo, noi della rete dei centri antiviolenza, abbiamo fatto della lettura delle paure sapientemente costruite, della corretta narrazione dei dati di realtà, dell’analisi dei problemi individuali alla luce delle dimensioni collettive, una pratica corrente e fondativa del nostro agire politico che da sempre si è tenuto ancorato alla concretezza di un lavoro sociale attento ai legami, alle reti, alle comunità.
Nei nostri centri antiviolenza, nelle nostre case rifugio, abbiamo accompagnato percorsi di liberazione personali con la costruzione di un sapere finalizzato ad un radicale cambiamento non solo dell’ordine simbolico da cui si riproduce la discriminazione delle donne, ma anche dell’intero impianto socio economico che nelle sue evoluzioni postmoderne restringe sempre più lo spazio vitale per gli ultimi e per i differenti e nutre le spinte al nuovo individualismo, all’affievolirsi dei legami e all’inaridirsi della solidarietà.
In questo momento così oscuro per la storia del nostro paese in cui alla crisi economica si associa una deriva culturale senza precedenti, ci risulta forse più facile che ad altri pensare che per aprire un varco nel desolante scenario di negazione crescente di dignità e di diritti umani, di arretramento generalizzato di tutte le istanze di tolleranza e apertura verso le libertà individuali e l’autodeterminazione delle proprie scelte di vita, bisogna partire da una contro-narrazione in grado di contrastare le vincenti quanto false argomentazioni di chi attualmente ci governa.
Non si tratta di rimpiazzare nuovamente gli slogan con cui ormai la politica si esprime con il linguaggio della complessità, privilegio di pochi (e radical chic) intellettuali, ma di provare a smontare il “demone della paura” come lo definisce Bauman cavalcando il quale si è costruito consenso e si sta provando a smantellare di fatto quanto garantito dalla costituzione nel nostro paese.
Come effetto collaterale della “globalizzazione negativa” quella che esporta commercio e capitali, sorveglianza e informazione, violenza e armi, delitti e terrorismo, tutti concordi nel rifiuto della sovranità territoriale e dei confini statali, si genera l’ossessione della sicurezza e si agita lo spettro della paura nella sua versione più sinistra dell’insicurezza del presente e l’incertezza del futuro.
L’utilizzo grezzo quanto efficace di questa paura, l’agitarsi scomposto della minaccia dell’invasione esterna pronta a minare gli spazi e le sicurezze di chi è dentro i confini, la strumentalizzazione di questo spaesamento generalizzato su una popolazione povera soprattutto di risorse culturali, privata da anni di sapiente comunicazione di senso critico, di conoscenze ed informazioni, hanno determinato la situazione attuale in cui sembra diventare possibile la rinegoziazione di diritti dati come acquisiti per sempre mentre è già reale assistere a scelte vergognose come il sequestro delle persone sulla nave Diciotti.
Il rigurgito fascista e patriarcale che mette in discussione al di là di norme e trattati internazionali le misure minime di accoglienza e asilo, che nega valore alle unioni civili, che svuota il diritto all’autodeterminazione delle scelte riproduttive con l’attacco alla 194 sempre più esplicito, che prova ad azzerare il diritto a divorziare messo in seria difficoltà dal DDL Pillon ( “ Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”) che se dovesse passare riporterebbe il paese indietro di 40 anni, va arginato non solo tornando a movimentare le piazze che per fortuna in questi giorni si ricominciano a riempire ma proponendo un diverso sguardo sul mondo che sappia fornire orizzonti di senso e rigenerare una tensione etica anche in chi l’ha smarrita non per convinzione ma per stanchezza, disaffezione, rabbia e scarsa informazione.
La battaglia da condurre è unica.
Come da sempre sosteniamo che l’orco stupratore non è fuori in strada, cattivo, straniero e diverso ma è tra noi, nelle nostre case e tra le nostre mura, così è ora il momento di prendere parola per svelare le idiozie vaganti, per smontare sapientemente ma con rispetto delle persone più fragili e vulnerabili schiacciate dalle disuguaglianze insostenibili e dalle povertà crescenti, sulle quali fanno presa lo spettro delle paure e la propaganda populista, il castello delle false verità e con esse la deriva fascista.