Sono 5,5 milioni gli italiani che lasciano il nostro Paese per cercare altrove nuove opportunità per un futuro migliore. La corruzione, prima tra tutte, la causa dell’impoverimento del Mezzogiorno.
Mentre tutto il mondo è focalizzato sull’immigrazione del popolo africano, in Italia si registra un flusso emigratorio di dimensioni preoccupanti. Soprattutto verso l’estero ma anche dal sud verso il nord dove la società garantisce maggiori prospettive e diritti.
Sono molti i giovani che decidono di salutare i loro cari mettendo in valigia tutti i ricordi della loro terra natia per andare altrove dove lo status sociale, civile ed economico viene garantito. Ci sono anche le famiglie e gli over 60 che, attrezzati di coraggio e di volontà, si trasferiscono in terre e Paesi che gli permettono di trascorrere una vita più serena e dignitosa.
Il rapporto Istat “Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente”, pubblicato a dicembre del 2018, mostra un Paese, l’Italia, spaccato in due: da una parte il nord che diventa meta di molti emigrati, dall’altra parte il Mezzogiorno sempre più povero e spopolato.
Una immagine che racconta di un divario economico e sociale tra nord e sud ereditato dal processo risorgimentale e mai colmato.
Un gap che aumenta non solo a causa della crisi economica e finanziaria e delle politiche sbagliate e poche attente di tutti i Governi che si sono succeduti, ma soprattutto a causa della crescita della corruzione e del degrado che non hanno fatto altro che alimentare il potere e la presenza delle organizzazioni criminali mafiose mai completamente estirpate.
Le cronache di oggi, che spesso passano in secondo piano, confermano che la corruzione è diventata una struttura della società italiana. E’ penetrata ovunque come testimonia la presenza dei “corrotti” in politica, nelle amministrazioni, nel mondo dell’imprenditoria, nella sanità.
Nel nostro Paese la “corruzione è sistema” e non lo scrivono solo gli osservatori esterni, lo dice anche la Corte dei Conti e lo provano i dati. La “tassa occulta” della corruzione nella Pubblica Amministrazione ha un costo di circa 60 miliardi di euro l’anno. Un fenomeno che cresce e rimane nel silenzio e nella assoluta impunità.
Si tratta di un costo che pagano le classi più deboli, soprattutto le nuove generazioni, perché dove più distorta è la spesa pubblica, minori sono le risorse destinate alla sanità, alle politiche sociali, all’istruzione, alla ricerca, al lavoro, all’ambiente.
La corruzione sottrae soldi alla produzione e all’investimento.
E mentre i Governi ci dicono che non ci sono le risorse per far uscire il paese dalla crisi economica e per creare posti di lavoro, la corruzione continua imperterrita ad impoverire il paese, soprattutto il Sud, sul piano economico, politico e culturale.
Pensiamo ai mercati “inquinati” dove non troveremo mai garanzia delle opere e i costi per la realizzazione sono sempre più alti. E’ proprio il bene pubblico del resto, gli appalti per i lavori, i servizi e le forniture, a rappresentare il settore più esposto. Ciò avviene, perché quando la corruzione si insedia nel ceto politico, e da questo non è adeguatamente contrastata, essa diventa un fatto istituzionale, un modo di governo della cosa pubblica.
La mentalità clientelare, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, è diventata ormai una cultura, un modo di governare che impoverisce l’intera area. E’ in questo sistema che efficienza e meritocrazia vengono sacrificati in nome dell’interesse privato.
A patire gli effetti di questa situazione sono soprattutto i giovani, i quali, come era già avvenuto fra la fine dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale, in molti casi hanno scelto di lasciare l’Italia per cercare lavoro all’estero con un conseguente spopolamento del Mezzogiorno e un danno economico per l’intero paese. Ci sono anche gli over 40 che, in un’Italia senza prospettive e risorse, hanno perso il lavoro ed un altro non possono trovarlo.
D’altronde senza lavoro non si può vivere. Non si può progettare un futuro, costruire una famiglia, acquistare una casa. Il lavoro non è solo una questione economica ma un sistema dove l’individuo costruisce la propria identità e quella della comunità in cui vive. E’ un segno di civiltà in “una Repubblica Democratica” che dovrebbe appunto essere, come sancito dalla Costituzione, “fondata sul lavoro”. Un lavoro che in Italia manca insieme alle politiche per gli investimenti e per la costruzione del futuro di questo nostro Paese.
L’Italia pertanto diventa un Paese sempre più vecchio e solo, dove la popolazione più giovane emigra e quella più anziana resta in balia di sé stessa: la popolazione totale diminuisce per il terzo anno consecutivo di quasi 100 mila persone rispetto al precedente. Siamo il secondo paese più vecchio del mondo: 168,7 anziani ogni 100 giovani ed il flusso migratorio verso altre terre rischia fortemente di accelerare la prevista desertificazione del Mezzogiorno.
In questo quadro così desolante e preoccupante, la politica ha costruito un nemico da combattere, l’immigrato appunto, senza farsi carico dei veri problemi che in questi decenni hanno portato allo spopolamento del Mezzogiorno d’Italia e ad una crisi ancora più forte e sistemica. Ed uno Stato che abbandona i suoi figli senza prendersi le proprie responsabilità ha semplicemente fallito.
Ed un popolo che crede che il nemico è quello del continente accanto non ha capito che il proprio malessere deriva da chi cura più gli interessi privati che quelli del Paese.