L’ultimo rapporto Eurostat sui salari racconta un’Italia che lavora e perde potere d’acquisto, mentre aree che storicamente erano state la locomotiva d’Europa, come il distretto di Milano, non rientrano più tra le prime venti, in termini di reddito pro capite degli appartenenti.
L’Italia sta sempre più marginalizzando il suo ruolo nell’industria 4.0, non riesce a guidare processi di ammodernamento ed incremento della produttività, è universalmente nota come uno dei paesi del mondo in cui l’inefficienza e la corruzione dei meccanismi statali costruiscono dei vincoli insormontabili allo sviluppo.
A peggiorare le cose il dibattito politico sembra ignorare i temi della riconversione, dell’economia sostenibile e della transizione verso un impiego o un impegno stabile e costruttivo della popolazione.
Si ha l’impressione che l’Italia faccia ormai enorme fatica ad essere individuata come un soggetto unitario, sul piano amministrativo e politico. Si ha la netta percezione di un luogo geografico, che non corrisponde ad un’entità con una propria vocazione o personalità.
Ci salva il turismo internazionale, favorito dall’insicurezza generata dal fenomeno ISIS in medio oriente e ci tengono a galla le ricchezze ambientali, climatiche, storiche, enogastronomiche.
Il settore manifatturiero, per anni motore e vanto della comunità, ormai arranca, mentre nel campo delle nuove tecnologie, semplicemente, siamo spettatori ed importatori dei prodotti ideati e sviluppati all’estero.
Le regioni del sud del paese, nonostante centinaia di miliardi di euro investiti dal pubblico, non hanno colmato un gap infrastrutturale ed economico che resta spaventoso. I livelli di disoccupazione giovanile delle regioni del mezzogiorno sono ormai tali da generare un costante fenomeno di emigrazione, che riguarda soprattutto le eccellenze culturali, professionali ed intellettuali. Chi può scappa all’estero, verso lavori pagati dignitosamente ed una rete di tutele della persona e della famiglia che in Italia appare più un gigantesco bubbone clientelare e assistenziale, che una vera forma di welfare, integrato nel tessuto produttivo.
La politica non offre risposte adeguate al bisogno di efficienza, sviluppo e giustizia. Le iniquità aumentano, l’individuo è sempre più esposto all’osservazione dell’ingiustizia sociale, della disuguaglianza, delle sperequazioni.
Il paese è in una situazione di default idrogeologico, soffre di un ambiente devastato da anni di sviluppo urbano dissennato e sregolato, è esposto a crolli che si susseguono persino alle giornate di vento forte, tra alberi che si abbattono su ignari passanti, tetti che si sgretolano e strade che si trasformano in trappole mortali, al primo acquazzone invernale.
Certo, il lettore che abbia avuto la pazienza di leggere questo elenco dei sintomi potrà anche annoiarsi, trovare che si tratti di una sterile e compiaciuta lamentazione, ma questo punto di vista ormai non fa più presa.
L’ottimismo, sale della vita, di cui ci parlava una nota pubblicità trasmessa qualche anno fa, ha ceduto il passo ad un cupo realismo, che mostra un paese allo sbando, in cui i giovani, le donne, i figli, avranno sempre più difficoltà ad emanciparsi dalla miseria e dall’angoscia della povertà e della precarietà.