Nel Mediterraneo, crocevia delle culture che Bobbio ravvisa come patrimonio genetico dell’uomo, un tempo vi era la possibilità di coabitazione, di sintesi, di condivisione, di scambio.
La presenza di differenti culture e l’attitudine alla loro convivenza nello scambio continuo, sono stati la ricchezza più grande dell’area e ne hanno determinato la vitalità. Noi popoli mediterranei siamo stati Ulisse e Abramo insieme.
Il Mediterraneo è movimento anche perché la sua storia è fortemente connotata da processi migratori, da invasioni, da conquiste, da arrivi e partenze. Abramo era il patriarca dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam, padre di tutti i popoli.
Ulisse era un navigatore che univa al desiderio di esplorazione avventurosa, il bisogno di approdo in terra ferma. Per dirla con il mediterraneo di Leopardi “il naufragar me dolce in questo mare” è complementare al “sempre caro mi fu quest’ermo colle”. Chi naviga, ha sempre bisogno della terra ferma, della propria terra, di un approdo sicuro dove rifugiarsi appena finita la navigazione. Che si tratti di migranti, di pescatori, di semplici esploratori.
Eppure, questo mare che si trova al centro delle terre e che rappresenta un luogo di connessione e di condivisione, diventa oggi luogo di confine, di terrore, di separazione e spesso anche di morte.
Nel fondo del mare giacciono numerosi corpi di migranti sconosciuti, partiti con il desiderio di un futuro migliore e rimasti intrappolati in eterno nelle acque del Mediterraneo. Teatro di scontri tra culture e popoli che alza i confini contro l’umanità.
Luogo non sicuro per i pescatori siciliani che quel mare lo hanno vissuto, pescato, amato e temuto. E mentre siamo abituati alle immagini utilizzate dai media che ci raccontano di sbarchi e di presunti salvataggi da parte di quella che viene definita “guardia costiera libica”, in quell’angolo di estrema bellezza la vita di chiunque è perennemente in pericolo.
I pescatori siciliani che da secoli navigano nelle acque del Mediterraneo su barche a 30 miglia della costa, sono la storia bella di questo mare.
Il lavoro di chi vive in mare è sicuramente affascinante. Fa venire in mente lo sciacquio delle onde sulla prua, la bonaccia pomeridiana, le albe estive, le notti in tempesta, la calma apparente e la forza delle braccia che sollevano le reti con il pescato.
Consapevoli dei pericoli che incorrono, i pescatori non sono disposti a rinunciare a quella passione che li tiene legati alla loro vita. Nonostante tutto, sono ancora lì, con la forza e un sapere tramandato da padre in figlio.
Questi uomini del mare però, negli ultimi anni, hanno rischiato molto, più di quanto possiamo immaginare. Ad aggiungersi ai pericoli del mare, quelli naturali che sono imprevedibili, c’è la “guardia costiera libica”, con le motovedette regalate dall’Italia, che non si fa scrupoli nel sequestrare navi e nell’impedire a questi uomini di pescare e di vivere il mare come meglio credono.
Sono trascorsi pochi mesi da quell’11 ottobre del 2018, quando due pescherecci di Mazzara del Vallo sono stati attaccati duramente e violentemente dalla marina libica che ha sequestrato i mezzi e gli uomini dell’equipaggio. Quel Mediterraneo, conosciuto come luogo di incontro e di pace, diventa subito centro di scontro, di terrore e di conflitto.
A Mezzanotte dello scorso 4 maggio, nove pescherecci siciliani della flotta di Mazara del Vallo sono “stati salvati grazie al tempestivo intervento delle navi della Marina italiana, altrimenti sarebbero finiti nelle mani della Guardia Costiera libica”, riferisce ad Adnkronos il presidente regionale di Agripesca Sicilia Toni Scilla. L’ennesimo pericolo causato da chi si sente in dovere di attaccare chiunque veste i panni dello “straniero” della Libia.
Secondo quanto racconta Scilla, che si trova in costante contatto con la flotta di Mazzara del Vallo, le motovedette – fornite alla Libia dall’Italia – stavano per sequestrare le imbarcazioni siciliane mettendo in pericolo la vita dei pescatori. Fortunatamente due motovedette italiane hanno intercettato la guardia costiera libica e hanno bloccato in tempo il sequestro.
A darne la notizia, in un primo momento, il Ministro della Difesa Elisabetta Trenta che dopo l’attacco di Salvini, preoccupato della collaborazione dell’Italia con la guardia costiera libica, fa scomparire l’annuncio.
In realtà, tutto ha avuto inizio con un twitter della Marina italiana che dava notizia istantanea dell’operazione dei nostri militari. Annunci e dichiarazioni scomparse dai social in tempo record, subito dopo l’attacco ingiustificato del Colonnello Salvini che ancora una volta utilizza il Viminale per giochi politici, tanto che fonti della Difesa rispondono a tono: “Non ci era mai capitato prima di vedere un ministero usato a fini elettorali. In questo caso per attaccare il Ministro Trenta. Non c’è molto da commentare, basta avere uno spirito democratico per comprendere la gravità dell’episodio.
Dispiace che il Viminale, il cui titolare è Matteo Salvini, piuttosto che occuparsi della sicurezza del Paese, pensi a un tweet. Dispiace per l’Italia”. E siamo tutti dispiaciuti per quest’Italia dove ultimamente la sicurezza dei cittadini italiani non è garantita né in terra, né in mare. Resta solo un gravissimo episodio, l’ennesimo, che fortunatamente non è sfociato in una tragedia, evitando il peggio.
Se la guardia costiera libica, che il Viminale difende per i suoi interessi, avesse sequestrato i pescherecci e i pescatori, l’Italia sarebbe salita sul banco degli imputati per giustificare la propria responsabilità legata ad un accordo che ancora una volta mette in pericolo la vita di esseri umani, questa volta italiani.