Acronimo di Trans Adriatic Pipeline, il TAP si presenta come un gasdotto che, attraversando il mare adriatico, dovrebbe approdare (e forse approda) su un bellissimo tratto di costa pugliese ma…cerchiamo di capire meglio.
Il costruttore è il consorzio svizzero TAP, i cui azionisti principali sono società che si occupano di distribuzione del gas, come l’italiana SNAM.
L’opera è stata finanziata con l’aiuto della Banca Europea per gli Investimenti, anche grazie al fatto che l’Unione Europea ha riconosciuto al TAP lo status di “Progetto di Interesse Comune”, per cui i finanziamenti sono in parte garantiti dall’Unione e questo ha permesso di raccogliere denaro sui mercati a interessi ridotti.
Secondo la Commissione europea l’Italia ha un ruolo importante per la creazione di un hub del gas mediterraneo e la TAP permetterà di garantire una diversificazione delle fonti di approvvigionamento del gas.
Hub. Oggi tutto ciò che si fa deve essere denominato o, per meglio dire, classificato come “HUB”, altrimenti viene meno l’interesse o l‘impresa sembra meno interessante.
TAP, inoltre, permetterà al gas proveniente dal Mar Caspio di raggiungere i mercati energetici europei. Il gasdotto, infatti, aprirà il cosiddetto “Corridoio Meridionale del Gas”, snodo cruciale della strategia energetica europea. Questa nuova rotta si aggiungerà a quelle già esistenti dalle quali l’Europa riceve gas naturale, rendendo così i suoi approvvigionamenti energetici più sicuri e flessibili. Leggendo questi dati, la domanda sorge spontanea: mettiamo il TAP o togliamo il TAP?
Partiamo dal presupposto che dal punto di vista energetico siamo una nazione dipendente e non autosufficiente e, nella fattispecie, siamo dipendenti di gas naturale che tutt’oggi prendiamo in grandissima parte dalla Russia la quale – grazie al gasdotto Nabucco che ha una percorrenza continentale, attraversa l’Europa balcanica e, seppur con diverse diramazioni, arriva in Austria- ha fornito all’Italia il 45,1 % di gas contro il 37.8% della media UE (dati del 2015).
Facendo una macroanalisi, verrebbe da dire “ben venga una nuova fonte di approvvigionamento”, così da non diventare esclusivamente dipendenti dal gas russo e da non subire impennate di prezzi, se non addirittura stop di erogazioni dovute ai più che tesi rapporti che la stessa Russia ha con l’Ucraina, attraverso la quale passano le condutture che trasportano il gas verso l’Europa.
Tutto ciò gioverebbe anche ad una auspicata concorrenza sul mercato energetico che dovrebbe tradursi in un possibile quanto sperato risparmio sui costi che i cittadini europei sostengono e sosterranno per approvvigionarsi a tale fonte.
Viceversa, facendo una analisi un tantino più approfondita, possiamo vedere ben altro.
Intanto, verso la fine del 2011 nacque il Comitato “No TAP” che diede inizio ad una forte battaglia, a cui si aggiunsero associazioni, gruppi di studio, sindaci e comitati locali del Salento, oltre al Movimento 5 Stelle, tutti uniti e convinti a protestare contro la costruzione; anche il presidente della regione Michele Emiliano ha criticato duramente il progetto opponendosi caparbiamente alla realizzazione dell’opera attraverso manifestazioni e proteste.
No TAP sostiene che oltre all’impatto ambientale, sia da valutare l’inutilità dell’opera in quanto ritenuta superata, perché pensata più di dieci anni fa e che valutava consumi di gas mai raggiunti negli anni successivi e previsioni mai verificatesi, un po’ come gli studi fatti da NO TAV.
Uno dei nodi cruciali che ha determinato scontri politici e a volte anche fisici tra manifestanti e polizia di stato è il punto d’arrivo del gasdotto: partendo dall’Azerbaijan, attraversando Turchia, Grecia, Albania e mar Adriatico, ecco l’approdo in Puglia su uno dei tratti di costa riconosciuti tra i più belli del mediterraneo e cioè San Foca, piccola fetta di paradiso in terra e meta di turismo e di attrazione mondiale.
La tubatura, di per se non evidente, arriverebbe via mare e a circa 800 metri dalla spiaggia verrebbe interrata (insabbiata) per poi uscire a poco meno di una chilometro dalla costa sulla terraferma dove proseguirà sempre interrata ad un metro e mezzo di profondità per circa 8 chilometri.
Per fare spazio al tunnel che conterrà la conduttura, dovranno essere espiantati circa 1900 ulivi, messi a dimora per poi essere ripiantati ad opera ultimata (?).
Sapendo quanto siamo bravi noi italiani a rispettare i tempi di realizzazione dei progetti, possiamo ben immaginare quale sarebbe la sorte degli ulivi messi a dimora in attesa che…
Nel comune di Melendugno sorgerà poi il terminale di ricezione (PRT), che sarebbe l’infrastruttura più visibile della parte italiana del progetto.
Sarà interessata un’area di circa un ettaro in cui sorgerà il centro di controllo e immissione del gas all’interno della rete nazionale.
I tecnici del TAP dicono che l’impianto non dovrebbe produrre una significativa quantità di emissioni perché il gas non richiede alcuna lavorazione e non ne è previsto lo stoccaggio.
Ci potrebbero essere si emissioni, ma sostanzialmente ridotte e solo nella fase di riscaldamento del gas, condizione necessaria per adattarne la pressione a quella del resto della rete italiana.
Fondamentalmente, date anche le rassicurazioni pervenute dagli organi di vigilanza, pochi mettono in dubbio l’efficienza e la sicurezza della struttura portante e cioè il diametro del tubo (120 mm) e lo spessore (circa 27 mm rispetto ai 25 previsti), parametri perfettamente in linea con le norme vigenti: i dubbi forti, anzi fortissimi, nascono sull’utilità della maxi opera e sull’impatto che il resto dell’impianto avrebbe sull’ambiente circostante.
Già a fine del 2013 TAP A.G. aveva consegnato la documentazione di “Valutazione di impatto ambientale” al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Ad inizio 2014, come richiesto dal Ministero, sono state consegnate alcune integrazioni al progetto e le risposte alle osservazioni del pubblico ed a fine anno 2014, l’allora Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Gian Luca Galletti, firmò il decreto di compatibilità ambientale, superando il parere negativo espresso dalla Regione Puglia e del Ministero dei Beni Culturali.
Il parere positivo del Ministero dell’Ambiente, ha confermato che il sito migliore per l’approdo del gasdotto sulle coste salentine è San Foca, per il minor impatto ambientale e paesaggistico.
«Valutato pertanto, per quanto sopra riportato circa l’approfondimento delle alternative, effettuato considerando ulteriori aree di indagine e parametri di valutazione così come richiesto durante la fase istruttoria, che l’ipotesi D1 (San Foca) risulta l’alternativa migliore sotto i profili tecnico, ambientale e paesaggistico. Si evidenzia che in questa alternativa la tecnologia del microtunnel permetterà di ridurre al minimo le interferenze con la fascia litoranea (potenziali impatti sul turismo, sul paesaggio e sull’ambiente)».
Il 9 ottobre 2014, con la pubblicazione dell’avviso di avvio del procedimento di “Autorizzazione Unica” è cominciata l’ultima tappa del percorso autorizzativo: la conferenza di servizi presso il Ministero dello Sviluppo economico ha dato il suo assenso al rilascio dell’Autorizzazione Unica, il cui decreto è stato firmato il 20 maggio 2015 dal Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, abilitando la costruzione e l’esercizio dell’opera, approvando il progetto e dichiarando altresì la pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dell’infrastruttura, anche ai fini degli espropri.
I lavori sono iniziati il 12 maggio 2016 e l’operatività dell’infrastruttura dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2020.
Il 7 settembre 2016 la Procura di Lecce ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta aperta su TAP relativa alla procedura seguita dal Ministero dell’Ambiente per il rilascio della Valutazione di impatto ambientale. Per il pubblico ministero Angela Rotondano non sono emerse irregolarità.
Nel mese di Ottobre 2017 la Corte costituzionale ha giudicato inammissibile il conflitto sollevato dalla Regione Puglia contro lo Stato in merito al procedimento di autorizzazione alla realizzazione del gasdotto.
A giugno 2018 il ministro Costa solleva seri dubbi sull’efficacia dell’opera, dichiarando che probabilmente è stata ideata più per motivi geopolitici (verosimilmente per diminuire la dipendenza dalle forniture di gas dalla Russia), che per mera pubblica utilità ipotizzando la riapertura della procedura di Valutazione d’impatto ambientale.
In Europa di gasdotti ce ne sono in abbondanza. Tuttavia i consumi sono in costante diminuzione.
I progetti di nuovi gasdotti rispondono quindi a ragioni economico-finanziarie e non alle “necessità” reali di chi vive in Italia o negli altri paesi.
Costruire il TAP non servirà a rilanciare l’economia e a “uscire” dalla crisi economica, non serve a chi ha perso il lavoro, non serve neanche a chi vorrebbe staccarsi dal gas russo perché i russi sono parte del progetto con la loro azienda petrolifera Lukoil, impegnata nell’estrazione proprio del gas che dovrebbe essere trasportato dal TAP.
Non serve a chi spera “che almeno porti soldi”, perché la società costruttrice (la Trans Adriatic Pipeline AG) è registrata a Baar, in Svizzera, e non pagherà mai le tasse in Italia.
Ruspe, camion cantieri e tecnologie che verranno usate mettono in allarme: terminata la costruzione, nulla sarà “come prima” (vedi altri luoghi dove sono stati costruiti gasdotti simili).
La realizzazione del gasdotto non causerebbe solo un danno economico “compensabile”. L’infrastruttura, infatti, arriva dal mare, attraversa la falda acquifera che nella zona di San Foca passa quasi in superficie, mette a rischio la costa, l’habitat marino, le riserve d’acqua e le piantagioni antiche di ulivi anche millenari. Altererebbe, se non distruggerebbe, l’ambiente in cui vivono persone e in cui sono basate tutte le attività economiche e commerciali che in questa terra danno da vivere, che sono parte del tessuto sociale e culturale del territorio come la pesca, l’agricoltura, gli agriturismo, la produzione di olio e la produzione vinicola.
Non dobbiamo sottovalutare che questa terra fa della sua semplicità e del rispetto per l’ambiente il suo punto di forza: gli abitanti dell’area stanno costruendo ben altro per se e per i loro figli e gli effetti più che positivi sono sotto gli occhi di tutti.
Mi chiedo se non fosse più utile alla società investire per affrontare il vero problema che sta a monte e che pare non voglia essere neanche preso in considerazione dall’Unione Europea e cioè ridurre la nostra dipendenza dal petrolio e dal gas.
Pare che nessuno voglia considerare che tali grandi opere sono mirate a creare interessi per gli investitori che come unico fine hanno quello di monetizzare, creando prima una dipendenza da tale energia per poi controllarne l’erogazione con costi che ricadranno sulla popolazione usufruente.
Il TAP ci viene spesso presentato come “un’alternativa al gas russo”, ma se guardiamo i dati dei consumi, anche in tempi di recessione, il TAP non potrebbe sostituirsi alle quantità di gas che importiamo dalla Russia.
Inoltre non è dato sapere il costo complessivo del TAP e delle altre parti del gasdotto, dall’Azerbaigian all’Italia, e come verrà finanziato.
A conti fatti, la vera alternativa consisterebbe nel definire i bisogni reali di energia di ciascun territorio, guardando agli anni a venire e al modello economico che ciascun territorio vuole definire per rinascere dalla crisi.
Pensare, quindi, agli interventi necessari anche per produrre energia, magari liberandosi almeno in parte o se non del tutto, della dipendenza dal gas.
Un progetto come il TAP va in direzione contraria, è un ostacolo alla possibilità di pensare a delle alternative realmente trasformative per i territori.