Anno 453 della nuova era. A Fantasia il tempo scorre lento, perché il dubbio attanaglia qualsiasi direzione.
La verità è una bugia e la bugia è la verità. Dai piatti confini terrestri spirano venti di guerra: il governo ha appena emesso un ordine di cattura per Roberto Saviano. Il giornalista, secondo le fonti del precedente regime galileiano, sarebbe deceduto, qualche centinaio di anni fa, ma si tratta di informazioni manipolate.
In realtà egli è vivo ed è stato l’autore di decine e decine di stese nel settore Napoli C – 3. Gli agenti della polizia intercontinentale lo cercano dappertutto, tranne che in Australia, dove non vengono diramati ordini di cattura, perché da tempo si è accertato che la terra dei canguri non esiste.
Ok, per alcuni tutto questo è solo un copione maldestro, frutto di uno sceneggiatore fallito, ma se ragioniamo su quello che vive e vegeta attorno a noi, non possiamo liquidare la faccenda con tanta superficialità.
Immaginiamo una petizione promossa da Scotland Yard per eliminare dal commercio tutti i libri di Agatha Christie. Proviamo a pensare ai deputati americani che entrano al Congresso con in mano una copia del “Padrino”, inneggiando ai roghi delle opere demoniache e al bando per il capolavoro di Mario Puzo.
Anche se tutto questo può apparire paradossale, dovremmo chiederci perché le accuse mosse a Roberto Saviano, che uno strato della popolazione napoletana costantemente gli rivolge, non lo sembrino altrettanto.
C’è un pericoloso movimento a Napoli, che trova referenti politici e non solo, che spinge forte per la tesi del negazionismo camorristico. L’idea che lo scrittore napoletano sia diventato il simbolo della narrazione del fenomeno camorristico contemporaneo, e che quella narrazione sia divenuta capace di imporsi in tutto il mondo, infastidisce moltissima gente.
La domanda è: perché? Si ha quasi l’impressione che alla denuncia, in termini giornalistici e letterari, si preferisca il silenzio. Ci si scaglia contro la finzione scenica trasmessa in televisione, confondendo costantemente l’intrattenimento, il prodotto cinematografico, con ciò che avviene nei quartieri della nostra città.
Avviene una sinistra inversione di ruolo: chi porta alla luce e denuncia i fenomeni sociali che stanno alla base dei clan viene additato come la causa, mentre la costante mattanza che opprime Napoli, per contrasto al processo a Saviano, finisce con l’essere trattata da alcuni come un elemento di cui vergognarsi, capace di portare cattiva pubblicità e dunque da minimizzare.
Napoli, si sente dire, è altro, è tanto di buono, non è soltanto quello.
Benaltrismo, benaltrismo ovunque. Eppure, quando l’ennesimo agguato in pieno centro tramortisce una bimba di tre anni, mentre tutti siamo con il fiato sospeso e inganniamo il tempo, facendo altro, ma cercando notizie positive dal reparto di terapia intensiva in cui Noemi è ricoverata, il racconto fantastico sulle colpe del narratore sembra perdere vento e sostenitori.
Napoli apre gli occhi, per l’ennesima volta, su una condizione di insicurezza e degrado criminale che non può essere ritenuta normale, accettabile, endemica. E’ così che si comprende quanto sia pericolosa quella forma di assuefazione che costruisce una cultura della rimozione del fenomeno camorristico, ottenendo l’effetto, magari indesiderato, di farlo ritenere quasi un elemento integrato e fuso in modo inscindibile con la società napoletana.
La forza di un racconto non deve mai far dimenticare la realtà, non deve diventare un alibi per non affrontare la realtà e soprattutto non può mai sostituirsi ad essa. Napoli non ha bisogno di scagliarsi contro chi la racconta, ma contro chi la assassina a colpi di pistola, quella vera, quella che non spara pallottole di scena.