La confessione della propria innocenza, dinanzi al potere che induce un suo rappresentante a riconoscere l’intangibilità della casta, è la cifra finale del capolavoro di Elio Petri e ben si può applicare alla vicenda che l’avvocatura italiana sta vivendo in questi anni.
Il sistema ordinistico forense è in piena dissoluzione, vittima di un costante, scientifico, sovvertimento della verità. L’ultimo colpo al regime morente è arrivato da una sentenza, che ha stabilito una cosa tanto semplice, quanto legale, nella sua banalità: ovvero che i Consiglieri dell’Ordine degli Avvocati e i Consiglieri Nazionali dell’Organo che comanda la vita e la morte degli avvocati, debbano lasciare il proprio incarico dopo aver svolto due mandati consecutivi, dovendo far trascorrere un mandato di vacatio prima di potersi ricandidare per esercitare quel ruolo.
E cosa è accaduto quando la Corte di Cassazione ha provato a far rispettare la legge agli avvocati?
Il finimondo.
E’ cominciato un processo di ribaltamento della realtà, che ha portato i colpevoli, gli incandidabili, a considerarsi pienamente in corsa, persino a dispetto di tutto, di una nuova legge interpretativa che confermava il principio, di un dibattito in cui la gran parte di coloro che sono intervenuti li invitava alla ragionevolezza.
Niente da fare: avvocati al di sotto di qualsiasi sospetto hanno cominciato a cavillare, a ingarbugliare, a studiare le pieghe delle lettere che componevano le parole del principio e del dettato normativo, con il tipico fare sfuggente ed insultante per la ragione pratica che rende odiosa l’avvocatura a gran parte della popolazione italiana.
Già, perché siamo spesso visti come gli azzeccagarbugli pagati per dire che il nero è bianco e per convincere tutti che, a dispetto di ciò che vedono, il nero è proprio bianco.
Ebbene, persino l’illusionista più esperto sa che un trucco, per non risultare urticante, deve poggiare su un fondamento di credibilità, se non vuole divenire ridicolo o irritante per lo spettatore. Noi avvocati no: siamo capaci di vendere camion di menzogne ad ignari spedizionieri, capovolgendo il fatto, inventando scuse inverosimili, rifugiandoci nello scempio della logica. Innocenti, tutti innocenti confessi, puri, vergini di intenzioni, dediti ad un sacrificio a volte ventennale, che nessuna norma, nessuna sentenza, nessun limite all’appetito insaziabile dei rei potrebbe frenare.
Così, mentre la realtà urla la colpevolezza, l’insostenibilità di una posizione, gli innocenti si calano perfettamente nel personaggio, si convincono che è un complotto, raccontano dettagli del crimine ed allo stesso tempo, mentre espongono le foto che li ritraggono nell’atto di colpire, spiegano a se stessi di essere qualcun altro e si convincono che effettivamente è così.
Un’opera di fuoriuscita dal corpo fisico, di legame transustanziale con l’aldilà, intesa come dimensione dell’indecenza, ben percepita da noi tutti, miseri mortali, restati ad osservare nell’ “aldiqua”.
E’ il popolo che lo vuole, sembrano dire i reprobi, incuranti che la legge sia giunta a limitare proprio quell’illegittimo volere, riconoscendone l’asimmetria di vantaggio rispetto a chi non può elargire favori, prebende, strapuntini, ad una coerente, granitica ed acritica forza bruta. “Nel paese della bugia la verità è una malattia”, scriveva l’immortale Gianni Rodari. E mi sovviene il povero Pinocchio, frustrato dal suo tentativo di dire la verità, perché vittima di un irresistibile aura di mancata credibilità.