Senza “End of Waste” i Riciclo dei rifiuti non esiste

by Pio Canu
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Circa una settimana fa, il Consiglio dei Ministri ha approvato il tanto decantato Decreto “Semplificazioni” talmente ricco di semplificazioni che hanno deciso di escludere la principale norma che tutto il mondo del riciclo aspettava: End of waste, in italiano la “cessazione del rifiuto” ovvero i criteri per i quali un rifiuto cessa di essere considerato tale e viene considerato “materia” o “prodotto”. Il principio dell’end of waste viene introdotto dall’Unione Europea nella Direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008.

Il concetto è semplice ma un suo regolamento è necessario per stabilire una netta differenza tra rifiuto e materia/prodotto derivante dal riciclo di rifiuto. Definendo di fatto la nuova materia ottenuta attraverso il processo di riciclo come “Prodotto” viene riconosciuto non solo il valore ambientale del riciclo ma soprattutto il valore economico delle Materie riciclate conosciute come MPS (materie prime seconde), favorendo il loro mercato ed il loro utilizzo per la produzione di nuovi beni in sostituzione della materia prima vergine.

In poche parole “Economia Circolare”. Il problema nasce dal momento che non esiste una norma nazionale che chiarisca i processi di riciclo e criteri necessari per trasformare un rifiuto in prodotto. Nella direttiva europea in materia di rifiuti vengono stabilite le linee guida per la creazione di un regolamento dell’end of waste. In particolare nell’art.6 della direttiva europea sui rifiuti vengono elencate le condizioni necessarie a soddisfare l’end of waste che di seguito riporto testualmente:

È  comunemente utilizzato per scopi specifici: si deve trattare, cioè, di prodotti diffusi, generalmente applicati in ambiti noti ed atti a svolgere funzioni conosciute e definite;

Esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto: il fatto che esista un mercato dimostra che difficilmente l’oggetto derivante dal recupero sarà abbandonato;

La sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti: l’oggetto deve, cioè, poter garantire le prestazioni richieste in concrete condizioni di utilizzo o di consumo, conformemente tanto alle norme di legge quanto alle norme tecniche relative al bene specifico;

L’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

Il Governo italiano nel recepire la Direttiva Comunitaria si è attenuto all’art. 40 della stessa che recita  “gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 12 dicembre 2010” ed emana prima il Decreto Legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 adottando la Direttiva UE e aggiunge al Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 la nuova disposizione ad hoc: art. 184-ter, “Cessazione della qualifica di rifiuto”. Con tale articolo, il concetto di materie prime secondarie (MPS) vincolate al reimpiego del materiale e in assenza del quale esse tornavano a dover essere qualificate come rifiuti viene sostituito con il concetto di end of waste, ossia quel materiale che in seguito ad un processo di recupero è oggettivamente divenuto un prodotto ai sensi del citato art. 184-ter.

La norma conformandosi al Legislatore comunitario aggiunge al comma 2 che “l’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni”. In pratica, l’operazione di verifica per stabilire se un rifiuto è diventato prodotto o resta rifiuto rientra nell’operazione di recupero a tutti gli effetti e necessita dunque di autorizzazione secondo le procedure previste dalla Parte Quarta del Decreto 152/2006.

Il problema nasce perché tra i vari decreti ed articoli non è chiaro chi deve decidere la cessazione del rifiuto e dunque rilasciare l’autorizzazione per il riciclo. Chi decide se un rifiuto è prodotto o resta rifiuto? Lo Stato? Le Regioni? Di chi è la competenza? Chi dovrà rilasciare le autorizzazioni? Insomma tante cose da chiarire. Lo sanno bene i proprietari di Fater s.p.a. e Contarina che gestiscono l’innovativo impianto a Treviso che ricicla pannolini ed assorbenti producendo nuova materia plastica e cellulosica.

Nel chiedere il rinnovo dell’autorizzazione alla Regione Veneto per il loro impianto hanno ottenuto in risposta un No. In particolare La Regione ha risposto che non le è permesso stabilire i criteri secondo i quali un materiale esce dalle regole dei rifiuti per entrare in quelle dei prodotti e che di fatto non può rilasciare alcuna autorizzazione in assenza di un riferimento normativo nazionale o comunitario.

Contarina a questo punto si rivolge al Tar Veneto, il quale accoglie le  ragioni della società trevisana stabilendo che la Regione Veneto “deve decidere che cosa è rifiuto e che cosa è prodotto”. La sentenza del Tar arriva in ultimo passaggio all’esame del Consiglio di Stato, il quale  ribalta il parere del Tar dando ragione al Veneto e stabilendo che: ”la competenza per stabilire i criteri end of waste spetta solo al Ministero dell’Ambiente o al Legislatore comunitario.” Risultato: Blocco totale del settore del Riciclo perché la norma che regola l’end of waste di fatto non esiste.

L’impianto su cui è nato l’intero caso è tra gli impianti all’avanguardia nel settore del riciclo e orgoglio per il nostro Paese. La proprietà è della Fater Smart, azienda che fa parte di Fater s.p.a. nata dalla Joint venture tra Proctor e Gamble e Gruppo Angelini creatore dei prodotti Pampers, Tampax e Lines. Con una capacità di trattamento di 10.000 tonnellate l’anno di pannolini ed assorbenti, ma autorizzata in fase sperimentale al trattamento di 1.500 ton/annue, dopo un processo di sterilizzazione riesce ad ottenere da una tonnellata di pannolini ed assorbenti 150 Kg di cellulosa, 75 Kg di plastica e 75 Kg di polimero super assorbente.

Tutta nuova materia che viene utilizzata in sostituzione delle materie prime vergini. Esempio di Economia circolare con un rifiuto non proprio semplice da trattare. I nuovi prodotti ottenuti dal processo di riciclo vengono (o meglio venivano) utilizzati per produrre nuovi beni come ad esempio arredo urbano, imballaggi, componentistica auto e tanto altro.

L’intero processo di riciclo è CARBON NEGATIVE infatti per ogni tonnellata di rifiuto trattato vi è un vantaggio equivalente di 15 KG di CO2 con un risparmio complessivo di 400Kg di CO2. In pratica il processo evita emissioni di CO2 equivalenti a quelle assorbite ogni anno da più di 30.000 alberi.

La questione che ormai riguarda l’intero settore del riciclo è in mano al Governo e più precisamente al Ministero dell’Ambiente che come detto all’inizio dell’articolo ha preferito escludere dal DL Semplificazioni la norma dell’end of waste. Con una nota del 12 dicembre 2018, il Governo ci spiega anche il perché dell’esclusione dicendo che “tale esclusione è stata necessaria dal momento che la norma ha bisogno “ancora” di approfondimento in sede Parlamentare”.

In Europa l’end of waste è ormai una realtà consolidata e l’impianto della Fater è in funzione da 10 anni. Il Governo ha annunciato inoltre che la norma verrà introdotta con la manovra di bilancio durante il passaggio in Senato.

Quindi ricapitolando: Al momento abbiamo il blocco totale nel rilascio di nuove autorizzazioni al riciclo, insieme a quelle già esistenti e in via di scadenza; il Governo non inserisce la norma dell’end of waste nel decreto semplificazioni così come richiesto dagli operatori del settore del riciclo per evitare il blocco; Il Governo invece di rispondere al problema in modo veloce e chiaro, prende tempo dicendo di dover approfondire la norma e promette di inserirla nella manovra di bilancio.

Nel frattempo cambia la vecchia norma che andava bene agli addetti del settore e produce un emendamento che sempre per gli addetti del settore, risulta essere controproducente per il riciclo. L’emendamento in questione risulta infatti totalmente fuori dai principi del riciclo e dell’economia circolare dal momento che scritto con riferimento ad una vecchia norma del 1998, non tiene conto delle nuove tecnologie di riciclo e dei progressi scientifici fatti fino ad ora e di fatto riconosce solo il rifiuto in quanto tale e i combustibili derivati dai rifiuti ovvero i Combustibili solidi secondari (CSS).

Il rischio dunque è di incentivare l’utilizzo delle due opzioni in campo: discariche ed inceneritori. Non riconoscendo in alcun modo la materia riciclata come prodotto, questa viene inquadrata e trattata come RIFIUTO e pertanto non può essere utilizzata in sostituzione delle materie prime vergini o commercializzata. Inoltre i tempi per l’entrata in vigore laddove l’emendamento dovesse essere approvato nella legge di bilancio non sono brevi. Nel testo dell’emendamento si legge infatti che “i criteri specifici” possono essere stabiliti per il singolo caso “tramite autorizzazioni” e si subordina questa possibilità all’adozione di uno specifico decreto con il quale “entro il termine di nove mesi dall’entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare individua i criteri generali, concernenti un elenco di rifiuti con indicazione dei relativi codici CER ai fini del rilascio delle autorizzazioni, con particolare riferimento alle verifiche sui rifiuti in ingresso nell’impianto in cui si svolgono tali operazioni ed ai controlli da effettuare sugli oggetti e sulle sostanze che ne costituiscono il risultato”.

Ciò significa che fino all’entrata in vigore del decreto “quadro” del Ministero dell’Ambiente nessuna nuova autorizzazione potrà essere rilasciata.  Le critiche arrivano dal settore del riciclo e dalle associazioni green che in una nota fanno sapere: “Qualora venisse approvato, il provvedimento rappresenterebbe un autentico colpo di grazia per le imprese del riciclo e per l’economia circolare”.

Aspetteremo l’evolversi della situazione, intanto il riciclo e la tutela dell’ambiente non possono più aspettare. Una circostanza, questa intera vicenda, che se da una parte vede l’Europa approvare il “pacchetto sull’economia circolare” dall’altra vede un Paese con la sua classe dirigente in preda al panico e in totale stallo sul fronte rifiuti con un settore del riciclo invece tra i migliori in Europa.

Senza end of waste il riciclo non esiste e senza riciclo non esiste l’economia circolare, la tutela ambientale e lo sviluppo della comunità.

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