Socialismo: la memoria, l’immaginario, il progetto

by Annalisa Montinaro
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Novecento italiano ed europeo

Non c’è conquista sociale del Novecento italiano ed europeo che non sia stata generata dal sentimento, dallo sguardo e dall’agire socialista.

Chi custodirà la memoria? Chi raccoglierà il testimone?

Questa Italia che per tanto tempo non ha saputo più eleggere democraticamente un presidente del Consiglio? E che ora comincia a svelare l’inganno della tanto attesa e celebrata rivoluzione del popolo? Questa Italia che da almeno trent’anni ha umiliato il lavoro, cancellato il diritto, distrutto lo stato sociale? Questa Italia che ha letteralmente smantellato la scuola pubblica e svilito la formazione, per abbassare drammaticamente il livello di coscienza perché è sempre meglio avere un popolo che non pensa, non si agita e che non pone domande scomode?

Oppure il testimone lo raccoglierà questa Europa, già desueta prima ancora di essere compiuta. Questa Europa licenziata dal trattato di Mastricht e del tutto epurata gradualmente dai principi fondamentali dei suoi padri fondatori? Questa Europa dello Spread e dei mercati finanziari, delle merci e dei tassi di interesse, che strozza il povero per ingrassare il ricco? Questa Europa dei capitali e non più dei popoli, dei saperi e delle nazioni! Questa Europa che così facendo ha sdoganato tutti gli “odi”, di destra e di sinistra, e ha alimentato il superomismo di chi, mascherandosi dietro il falso problema del ripristino o della tutela della sovranità nazionale e l’ingannevole mito della rivoluzione del popolo, è semplicemente incapace di costruire comunità, di stare in una comunità, con la propria identità, la propria libertà e soprattutto con la propria responsabilità.

Diciamolo chiaro, questa Europa delle banche che non cerca cittadini responsabili ma consumatori obbedienti, senza valori e senza una coscienza.

Questa Europa che non sa costruire una risposta politica comune e rispettosa dei diritti umani, per affrontare con umanità, responsabilità e intelligenza il problema mondiale delle migrazioni dei popoli, i quali non si spostano per sottrarre lo spazio ad altri popoli ma per cercare un luogo dove esercitare il proprio diritto alla Vita e alla felicità. Il pianeta è la nostra casa ma soprattutto è la casa di tutti.

Questa Europa che non sa custodire la Pace e che non sa fare la guerra, ma che miete ogni giorno migliaia di vittime, senza sparare un colpo di cannone.

Questa Europa popolata da una «nuova razza perfetta» di potenti e vincitori, vergognosamente serva di un «pensiero unico» che umilia la Vita e la dignità…

Ma questa Europa è comunque la nostra Europa, l’abbiamo fatta noi, anche quando pensavamo di essere altrove e di fare altro. Anche quando delegavamo ad altri il diritto/dovere di fare la nostra parte.

Forse la lezione della Storia non l’abbiamo imparata per niente.

Eppure l’ultima catastrofe che ha devastato questo agglomerato di paesi civili si è conclusa solo 20 anni fa. Dov’era l’Europa (Premio Nobel per la Pace 2012) quando la ex-Jugoslavia bruciava nel fuoco?… e quando le donne di Srebrenica, di notte, scavavano sotto la terra per cercare le ossa dei corpi dei propri figli ridotti a brandelli? Dov’era l’Europa!

E il Socialismo, quello della libertà e della giustizia sociale, quello che ci ha fatto sentire orgogliosi di stare a sinistra, in quale auto-esilio ingannava il suo tempo?

Non può essere Socialismo se non è accompagnato dall’umano sentimento della Pietà, altrimenti è naturale che l’unica parola che resta e si carica di significati è quella di un Papa, oggi Bergoglio, domani chissà.

La Storia ci ha raccontato, spiegato e dimostrato come il XX° secolo sia stato attraversato da due  drammatiche forme di totalitarismo, diverse nella forma ma accomunate nella sostanza.

Il totalitarismo politico-ideologico della prima metà del Novecento e il totalitarismo scientifico-tecnologico della seconda metà del Novecento; forme totalitarie che sembrano essere l’una la degenerazione dell’altra.

Nel secolo che stiamo vivendo un nuovo totalitarismo, più feroce e più sofisticato, su scala globale, tiene completamente in scacco l’umanità intera, governandola e plasmandola sui propri interessi e sui propri bisogni: il totalitarismo economico-finanziario dell’età contemporanea.

È evidente che in nessuna delle tre forme vi sono le condizioni per lo sviluppo della persona e la costruzione di una vera democrazia, poiché il totalitarismo, non solo per definizione ma anche per dimostrazione, per come è stato dimostrato dalla Storia, porta con sé l’annientamento della libertà e della giustizia sociale, valori indissolubili e così cari alla cultura del socialismo riformista. Di quel socialismo che, prima di deflagrare in una rivoluzione, sa attraversare il conflitto costruendo relazioni e cercando soluzioni condivise.

Delle tre forme di totalitarismo sopra-elencate la peggiore, a mio modesto avviso, è sicuramente l’ultima, cioè quella che stiamo vivendo. Nel «totalitarismo economico-finanziario» del nostro tempo è venuta meno, infatti, rispetto agli altri due, la categoria fondamentale del “conflitto”, inteso come valore.

Mentre nei primi due totalitarismi storici continuavano a permanere in modo tangibile due componenti fondamentali: 1) una verticalità significativa, la verticalità del potere, trasfigurazione di una spiritualità laica; 2) le polarità dialettiche e tangibili della realtà sociale quali, Oppressore e Oppressi, Capitale e Lavoro, Padrone e Classe Operaia, Stato e Società.

Se queste due componenti hanno reso possibile la realizzazione piena dell’esperienza socialista attraverso la lotta di classe, nel totalitarismo contemporaneo, invece, mascherato da una democrazia globale ma solo apparente, le polarità sociali significative scompaiono del tutto e ogni distanza, mistificandosi, si annulla, annientando di fatto il conflitto, l’unico spazio dove poter costruire la libertà individuale e la democrazia.

Il conflitto è davvero l’unico spazio dove si fa La Storia.

Gestire il conflitto non significa esplodere ma decidere di incontrare «l’altro» e di guardare al mondo anche attraverso lo sguardo altrui.

La paura d’incontrare le proprie parti oscure attraverso la diversità rappresentataci dall’altro, con il portato della sua esistenza, ci destabilizza a tal punto che preferiamo saltare il conflitto e neutralizzare l’altro, chiunque esso sia, semplicemente ignorandolo.

Oggi non c’è più e non può esserci una vera rivolta sociale, come accadeva fino al secolo scorso, perché i soggetti di quella rivolta non ci sono più. Sono stati dapprima ignorati e delegittimati e poi, in questo modo, neutralizzati.

La storia del Socialismo italiano ed europeo del secolo scorso non è altro che una straordinaria testimonianza di appassionata e infaticabile gestione del conflitto, con gli strumenti perduti della democrazia.

Questa forma di società in cui viviamo che ha polverizzato le polarità dialettiche con un appiattimento e un «vuoto» senza precedenti è quella che il filosofo polacco Zygmunt Bauman, uno dei più noti e influenti pensatori del nostro tempo (scomparso nel 2017), ha ribattezzato come società liquida, contrapponendola alla società solida del fordismo che, pur con tutte le sue contraddizioni, era portatrice di valori forti e duraturi, e generatrice di ruoli certi.

La società contemporanea invece, votata ad una velocità senza durata, deprivata da ruoli, limiti, prospettive e progettualità per un futuro a lungo termine, è uno spazio funesto e soprattutto “orizzontale” dove tutti corrono senza arrivare, dove tutti parlano senza significare, dove tutti comunicano senza realmente incontrarsi e quindi contaminarsi, e trasformarsi.

La società è oggi “un immenso utero globale dove l’uomo massa vive confuso senza una identità propria, senza alcuna individuazione rispetto agli altri”. (Per chi volesse approfondire si consiglia la lettura del saggio di Antonio Mercurio “La Sophia-Analisi e il Principio della Gioia”).

La società è solo un luogo di sospensione, un «limbo» appunto, dove individui sempre più alienati vivono sospesi tra la certezza degli orrori del passato e l’angoscia di un futuro incerto, se non addirittura invisibile, o peggio inimmaginabile.

Altro che pessimismo della ragione, oggi neppure con il più grande sforzo di volontà si può riuscire, in questa condizione, ad essere ottimisti perché l’umanità è stata privata di uno spazio ascetico fondamentale: lo spazio della costruzione dell’immaginario.

Le più sofisticate formule finanziarie non possono costruire o calcolare questa dimensione, perché è una dimensione dello Spirito, che non è un composto di fattura religiosa ma appartiene alla vita di ognuno di noi.

In questa orizzontalità fatale le dinamiche sociali ed esistenziali sono predeterminate e governate da un’oligarchia finanziaria oscura, che ha costruito le sue regole del gioco con il consenso degli stati sovrani in modo che tutto appaia democratico, legittimo e soprattutto necessario e inevitabile. Basti pensare alle logiche che governano le dinamiche per la realizzazione delle grosse infrastrutture, progettate non in funzione della Vita ma contro la Vita.

Oggi più che mai la «vittima e il carnefice» sono diventati la stessa persona e si sono alleati in un progetto distruttivo. La distruttività genera sempre nuovi perdenti!

Nel nostro tempo, l’individuo/numero, lungi dall’essere persona, delegittimato, alienato e del tutto privo della consapevolezza del «diritto», dalla condizione di «cittadino» è decaduto a quella di cliente/consumatore/merce, anzi l’individuo è proprio la merce che egli stesso compra e consuma! L’individuo è il consumatore di se stesso.

Il totalitarismo economico-finanziario è talmente pervasivo e subdolo da divenire sempre meno tangibile, sempre meno percepibile, «liquido» e sfuggente appunto, come l’acqua che sfugge dalle mani proprio quando la si cerca di afferrare, di fermare, di definire.

L’individuo è sempre più confuso nel suo dentro e nel suo fuori, frammentato e alienato dal suo progetto esistenziale; apparentemente non ha mostri, non ha idoli, non ha capi e padri da combattere, come in una sana relazione «totemica», eppure è assediato. È assediato come mai prima d’ora nella storia.

È circondato e messo sotto scacco da draghi invisibili. Pertanto l’unica vera alternativa possibile a questo annientamento senza precedenti, di cui non si ha consapevolezza, è il ritorno o forse piuttosto “l’andare verso” un percorso esistenziale che accompagni l’individuo all’incontro col suo Sé per decidere di diventare “persona”.

Naturalmente non appartiene alla Politica la scelta di fare o non fare questo tipo percorso, perché è prima di tutto una responsabilità individuale, tuttavia alla Politica bisogna chiedere di rivolgersi non al popolo/massa, di manzoniana memoria, ma alla Persona. Non saranno i populismi a salvare il mondo perché i populismi non sono il contrario delle dittature ma sono dittature a loro volta, realizzate con il consenso del popolo che eleva sé stesso a idolo totemico per essere poi sacrificato sull’altare della realtà storica dallo stesso inganno da cui è stato generato.

È necessario promuovere una nuova stagione dei «doveri e dei diritti» e garantire prima di ogni cosa il diritto/dovere alla formazione libera e pubblica; il diritto ad una formazione autentica che non sia finalizzata ad acquisire solo nozioni e competenze ma sia impegnata a costruire identità, nel rispetto del significato profondo e originario dell’educare (ex-ducere).

Se ci guardiamo indietro vediamo che la Storia, con le sue luci e le sue ombre, è fatta di grandi idealità, di forti personalità e di saperi, non semplicemente di ruoli. Mi sento di poter affermare che la formazione, nell’ossessione di adattarsi al mercato ha veramente toccato il fondo, ha fallito la sua missione.

Tutti i padri fondatori dell’Europa erano e sono sempre più d’accordo nell’affermare che quest’Europa di oggi non è quella dei loro desideri, non è quella che avevano progettato. Non avevano immaginato una complessa infrastruttura di freddi tecnicismi, di subdoli apparati burocratici e soprattutto di tassi di interesse.

Avevano sognato un’Europa che prima di tutto fosse una condizione dell’anima, un’Europa libera e federata, coagulo di storie e diversità dialoganti. Così era l’Europa nel sogno e nel progetto di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, ma anche nell’immaginario del più grande Presidente che la nostra Repubblica abbia mai avuto: il partigiano e socialista Sandro Pertini.

Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che un’affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma – come avviene per forze naturali – essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime. (dal Manifesto di Ventotene 29 Agosto 1943).

Per costruire un’Europa così ed esportare il modello al mondo, abbiamo bisogno di esseri pensanti e responsabili, di sguardi critici, di personalità scomode e visionarie. Abbiamo bisogno di un femminile e di un maschile «sani» e del dialogo tra queste due parti fondamentali.

Abbiamo bisogno di liberarci dall’odio verso una madre (Europa) che avremmo voluto perfetta e perdonare tutti i nostri umani fallimenti e le nostre umane infedeltà. Al bambino che impara a muovere i primi passi non rimproveriamo la caduta ma la accogliamo con amore e con amore lo aiutiamo a rialzarsi.

Con la stessa benevolenza dovremmo accostarci a questa grande opera incompiuta, a questa “sagrada” delle genti e delle storie, a questa nostra Europa cosi imperfetta e lacunosa, radicata sulle macerie cocenti della guerra per donare al mondo un tempio di pace.

E se a Pascal per raccontare la condizione umana è bastata la metafora della pagina di libro strappata alle due estremità, a noi contemporanei questa metafora non basta più, perché l’individuo è divenuto un foglio di carta ridotto in coriandoli.

Il compito più difficile che ci aspetta è quello di ricomporre tutte queste parti non per ritrovare il principio e la fine, ma per ricostruire il proprio centro, la propria integrità.

Il «totalitarismo economico-finanziario» dell’età contemporanea, con le sue leggi invisibili e senza via di scampo, è peggiore degli altri due ed è peggiore in senso assoluto perché ha caricato del significato sacro della «necessità» scelte e comportamenti che sono contro la Vita, contro la Storia, contro il Diritto e la Bellezza, e soprattutto contro la Persona e la sua Libertà.

A noi il compito di ricucire le nostre parti e fare della nostra vita un esercizio di integrità.

A noi, socialisti di oggi e di domani, se avremo il coraggio di esserlo ancora, la responsabilità di rendere il «mondo che cambia» un «luogo ospitale per l’Umanità». A noi l’impegno di restituire alle giovani generazioni, con l’educazione ma soprattutto con l’esempio, il concetto di «bene comune», insegnando ai giovani a prendersene cura e a fare della propria vita una ricerca responsabile della felicità.

A noi il dovere di fare in modo che la Politica torni a utilizzare parole significanti e valori universali e, soprattutto, torni ad essere Sovrana e a servizio della Vita, della Persona, della Giustizia sociale e della Libertà.

Al Socialismo del futuro, se mai avremo il coraggio di immaginarlo e di accompagnarlo nel nuovo secolo, più forte e più consapevole, il compito e il sogno di realizzare tutto questo e di far incontrare i luoghi, le culture e le identità.

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